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aprile, 2013:

730 e ricevute fiscali “magiche”

Fare la dichiarazione dei redditi è sempre una cosa impegnativa per le complicazioni della burocrazia e per il peso delle imposte che non sempre vengono pagate volentieri dai consumatori-contribuenti.

Ma se a complicare le cose si mettono anche i privati, allora è troppo.

Infatti, le spese fatte in farmacia per l’acquisto di medicine e le spese fatte in palestre e piscine per attività sportive praticate dai ragazzi dai 5 ai 18 anni, sono detraibili dalle tasse, nei limiti stabiliti dalla legge.

Tuttavia alcuni esercenti (non tutti) rilasciano ricevute e scontrini, che dopo alcuni mesi, per un “magico” effetto chimico si scoloriscono fino a scomparire. Cosa che non va affatto bene, perché in caso di controllo fiscale, quelle ricevute non verrebbero riconosciute valide e quindi il contribuente, dopo anni può trovarsi costretto a restituire i rimborsi ottenuti con il 730, maggiorati di interessi e sanzioni.

Abbiamo ricevuto proteste da parte di persone che, fatta questa osservazione all’esercente, si sono sentiti rispondere che per leggere queste ricevute scolorite basta “dargli fuoco”. Si avete capito bene, basta accendere una fiamma sotto la carta e l’importo scritto sopra ricompare come per magia. Provate a spiegarlo all’Agenzia delle Entrate.

Ma il massimo dell’assurdo kafkiano è stato raggiunto da un “cliente” di una notissima associazione sportiva di Arezzo che di fronte alla richiesta di avere una dichiarazione sostitutiva (perché le ricevute rilasciate mesi prima si erano scolorite) dopo avere riempito un modulo di domanda e dopo avere fatto altre code e formalità, si è sentito rispondere dalla stessa associazione che quelle ricevute non erano regolari perché non si capiva a quale anno si riferivano.

Ora, quando le formalità burocratiche e la mancanza di trasparenza provengono dalla pubblica amministrazione ci arrabbiamo e protestiamo, ma quando le complicazioni ci vengono create ad arte da fornitori privati, allora veramente si passa ogni limite ed è bene che il consumatore reagisca con tutti i mezzi di autodifesa che ha a disposizione.

Quindi invitiamo i consumatori-contribuenti che fanno acquisti di beni e servizi detraibili dalle tasse presso esercenti che rilasciano scontrini e ricevute “magici”, cioè che scoloriscono dopo alcuni mesi, innanzitutto a pretendere sempre e subito una ricevuta indelebile ed eventualmente a segnalarci questi casi, perché potrebbero interessare gli organi preposti ai controlli antifrode.

Consumatori taglieggiati: dal 2002 aumenti costati 12.700 euro a famiglia

È come aver subito una riduzione drastica ma apparentemente invisibile del proprio stipendio: 1.155 euro l’anno dal 1 gennaio 2002 ad oggi, con un conto finale in 11 anni di 12.700 euro a carico di ogni nucleo famigliare ed un trasferimento totale di ricchezza pari a 279,5 miliardi.

A calcolarlo sono Adusbef e Federconsumatori, sottolineando come «l’assoluta mancanza di controlli a partire da 1 gennaio 2002, ha falcidiato il potere di acquisto di lavoratori e pensionati a reddito fisso letteralmente taglieggiati, costretti a subire prezzi e tariffe raddoppiate con il pretesto dell’euro da parte di cartelli bancari ed assicurativi, monopolisti elettrici e del gas ed interi settori della filiera dei prezzi (eccetto le telecomunicazioni), che hanno sottratto dalle tasche dei consumatori e delle famiglie ben 279,5 miliardi di euro al 31.12.2012, trasferiti a favore di quei settori che hanno avuto la possibilità di determinarli».

Secondo lo studio Adusbef-Federconsumatori, il trasferimento forzoso è avvenuto anche a causa di un tasso di cambio vessatorio pari a 1.936,27 lire per 1 euro (che ha così determinato l’equazione di 1.000 lire 1 euro per moltissimi prodotti di largo consumo) imposto all’Italia dai Paesi più forti d’Europa. Il resto lo hanno fatto i costi più elevati dei servizi bancari, con 295,66 euro contro una media Europea di 114; le bollette elettriche e del gas più alte del 30%; le tariffe Rc Auto più care dell’80%, i prezzi dei carburanti più alti di 9 centesimi di euro a litro e i tassi sui mutui prima casa più esosi di 1,19 punti.

Fonte: www.corriere.it

 

 

L’IMU é incostituzionale?

L’IMU è stata senza dubbio la tassa più impopolare che il governo Monti ha emanato rimettere in sesto le finanze del Paese.Ma adesso circola una voce che la riguarda: pare che si sia profilata all’orizzonte l’ipotesi di poterne chiedere il rimborso per incostituzionalità.

Bisogna però chiarire meglio i contorni della faccenda ed illustrare con precisione le modalità per chiederne il rimborso, sapere su cosa è basata questa procedura, cioè perché l’IMU sarebbe incostituzionale.

L’ex Ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha dichiarato che l’IMU è incostituzionale perché viola l’articolo 3 principio di uguaglianza, l’articolo 47 tutela del risparmio e l’articolo 53 principio di capacità contributiva della carta costituzionale.

La base imponibile dell’imposta si identifica con il valore dell’immobile, calcolato sulla base della rendita catastale rivalutata senza una opportuna progressione temporale, e non tenendo conto del valore economico reale e senza prevedere alcun criterio correttivo successivo, necessario per avere quella flessibilità che avrebbe garantito all’imposta il rispetto del principio di uguaglianza sancito all’art. 3 della Costituzione.

L’assenza di correttivi necessari ad assicurare la parità di trattamento fra cittadini si ripercuote inevitabilmente sul principio di capacità contributiva, perché ogni cittadino è obbligato a contribuire alla spesa pubblica in base alle proprie risorse, per cui se l’aumento della base imponibile, avviene in modo indiscriminato, genererà una sproporzione di quanto è dovuto, rispetto alla capacità contributiva del cittadino, violando cosi l’art. 53 della Costituzione.

L’IMU, secondo le accuse che la riguardano, andrebbe anche contro il principio della tutela del risparmio di cui all’art.47 della Costituzione, poiché colpisce in modo indiscriminato e senza alcun meccanismo correttivo.

Nel caso in cui l’IMU venisse dichiarata ufficialmente incostituzionale, esiste un preciso procedimento per chiederne il rimborso.

PREZZO DELLA BENZINA: IPOTESI DI TRUFFA AI CONSUMATORI

L’inchiesta su Shell, Tamoil, Eni, Esso, Total Erg, Q8 e Api. Ipotesi di reato: rialzo-ribasso fraudolento dei prezzi.

Rialzo e ribasso fraudolento dei prezzi sul mercato, manovre speculative su merci e truffa: sono questi i pesanti reati ipotizzati a carico di otto compagnie petrolifere, Shell, Tamoil, Eni, Esso, Total Erg, Q8 e Api, coinvolte nell’inchiesta della Guardia di finanza e della procura di Varese. Il Gip di Varese cui la procura si era rivolta con un’istanza di sequestro, ha riconosciuto l’esistenza dei reati di aumento fraudolento dei prezzi attraverso manovre speculative in danno degli utenti da parte degli organi di vertice delle compagnie petrolifere, ma ha disposto il trasferimento degli atti a Roma e Milano, dove sono le sedi legali delle stesse.

FORTI OSCILLAZIONI – L’indagine, iniziata un anno fa in occasione del continuo rialzo dei prezzi della benzina, è partita da un esposto del Codacons e ha consentito di accertare l’esistenza di un rialzo ingiustificato da parte delle compagnie, attraverso una serie di manovre speculative. I militari del nucleo di polizia tributaria di Varese hanno prima ricostruito le dinamiche che concorrono alla formazione del prezzo dei prodotti petroliferi ed hanno esaminato la documentazione acquisita presso le compagnie e riguardante l’origine e l’andamento dei prezzi per ricostruire le variazioni in aumento e diminuzione nel periodo gennaio 2011 al marzo 2012.

IL RUOLO DEI FONDI – Per accertare i reati sono stati anche esaminati i documenti relativi alle istruttorie aperte dall’Authority per la Concorrenza e il Mercato e dal ministero dello Sviluppo economico. Nel corso dell’indagine si è inoltre proceduto al raffronto con i prezzi praticati negli altri paesi dell’Ue nello stesso periodo, rilevando prezzi medi in Italia maggiori della media. Gli accertamenti dei finanzieri hanno consentito di accertare che la causa principale dell’aumento dei prezzi è attribuibile al ruolo rilevante dei fondi di investimento in commodity (materia prime come petrolio, rame, argento, oro) e gli Etf sul petrolio (fondi indicizzati quotati in Borsa, in tempo reale, come semplici azioni) che, risultando fortemente influenzati da azioni speculative, da un lato hanno attratto investitori in grado di determinare un aumento del prezzo del petrolio pur restando estranei al suo mercato reale, e dall’altro hanno determinato un intervento speculativo da parte delle compagnie petrolifere attraverso operazioni finanziarie con strumenti di finanza derivata finalizzati al mantenimento di prezzi elevati sui mercati del greggio di loro proprietà ai fini di una definizione conveniente dei prezzi dei carburanti praticati alla pompa.

Fonte:  http://www.corriere.it/economia/13_aprile_04/Prezzo-benzina-indagine-su-sette-compagnie-petrolifere_bfe68ba0-9d06-11e2-a96c-45d048d6d7eb.shtml

I CONSUMATORI MODELLO ZARA

Prezzi convenienti, offerta in continuo cambiamento, prodotti molto simili a quelli appena visti sulle passerelle delle griffe di moda. E’ questa la ricetta di Zara, il brand di fast fashion che fa capo al gruppo spagnolo Inditex. Una ricetta in apparenza perfetta, che sembrerebbe consentire tanto all’azienda quanto ai clienti di ottenere un vantaggio.

Ma è davvero perfetta? Analizzando un po’ più a fondo il modello Zara, alcune criticità emergono. A cominciare dal servizio. Per contenere i costi, l’azienda riduce al minimo il personale di vendita, che, peraltro, si occupa prevalentemente della gestione della merce (riassortire le taglie, piegare i capi, sistemare i camerini e così via).

Ciò significa che, nei fatti, il consumatore è “abbandonato” a se stesso: quando non trova una taglia o vuole sapere se un certo capo è disponibile in un’altra versione di colore deve fare da sé. Lo stesso discorso vale quando si cercano informazioni sulla composizione o le modalità di manutenzione dei capi. In questi casi le uniche indicazioni sono quelle scritte sull’etichetta.

Certo, se si compera una t-shirt a 9.95 il tema della manutenzione non è centrale, ma lo può diventare nel caso in cui si opti per un cappotto da 149 euro. Vi è, poi, il tema del rapporto tra qualità e prezzo. Il prezzo è tendenzialmente basso ma la durata lascia spesso a desiderare, tanto che molti capi sono acquistati in una logica usa e getta: lo metto qualche volta e poi lo butto.

C’è da chiedersi se, in un momento di forte contenimento della spesa come quella attuale, un approccio di questo tipo sia ancora economicamente sostenibile per il consumatore. In altri termini ha ancora senso oggi comperare 4 golfini da 19.99 che dureranno pochi mesi quando, con gli stessi 80 euro, si può acquistare un golf che presumibilmente si potrà indossare per un paio di anni?

Infine vi è la questione dei processi produttivi, come ha denunciato Greenpeace con il rapporto Dirty Laudry e l’annessa campagna di boicottaggio. Secondo quanto rilevato dall’organizzazione ambientalista, durante la produzione Inditex utilizza alcune sostanze chimiche cancerogene. Sostanze che vengono rilasciate direttamente nell’ambiente limitrofo ai luoghi di produzione e, in piccole quantità, sono trattenute anche dagli abiti venduti nei negozi della catena.

Il gruppo, che in realtà non è l’unico coinvolto nella campagna di Greenpeace, ha dichiarato che, entro il 2020, eliminerà le sostanze tossiche dall’intera filiera produttiva. Ma il 2020 non è esattamente dopodomani e, intanto, i punti vendita continuano a essere riforniti di merce.

Fonte: Anna Zinola www.corriere.it

http://nuvola.corriere.it/2013/04/03/il-consumatore-abbandonato-nel-modello-vincente-di-zara/